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La città di Timbuktu

Avrei voluto viaggiare per barca fino a Timbuktu partendo da Bamako, ma il fiume Niger non ha sufficientemente acqua in questa stagione e devo andare per strada perché non ci sono posti nei prossimi aerei e non voglio stare a Bamako una settimana ad aspettare un volo.
Bamako è la capitale del Mali e come tutte le capitali è molto trafficata e molto inquinata, ma qui forse è ancora peggio perché le macchine che girano sono quasi tutte delle vecchie carcasse che fanno tanto fumo e rumore di lamiere perché hanno gli ammortizzatori rotti. Ho deciso quindi di partire in viaggio per strada.

Ci sono circa mille chilometri fino a Timbuktu, ho viaggiato 16 ore nell’autobus che mi ha lasciato alle tre di questa mattina in un villaggio deserto chiamato Douentza, dove una macchina mi ha portato con tre altri viaggiatori fino a Timbuktu, e’ stato un viaggio di quattro ore di guida folle, ai cento all’ora, su una strada di terra, sabbia e buche.

Saltavamo talmente tanto che davamo delle testate al tetto della macchina e abbiamo dovuto agganciarci stretti, stretti alle cinture di sicurezza come se fossimo in aereo.
Abbiamo riso tanto del nostro patimento e ho soprannominato il nostro autista con il nome “Paris Dakar”.
Alla fine abbiamo dovuto mettere la macchina su una barca perché Timbuktu è dall’altro lato del fiume a circa 15 chilometri.

Timbuktu è stata la meta di avventurieri, di esploratori e di viaggiatori già dal medioevo.
E’ chiamata la porta del deserto, ha l’immensità del Sahara davanti a se e il potente fiume Niger alle sue spalle.
Dal fiume arrivavano le ricchezze dell’Africa, legni pregiati, metalli preziosi e anche purtroppo gli schiavi, uomini donne e bambini nati liberi, rubati alle loro famiglie e poi venduti come servi.
I tuareg, che sono i maestri del deserto,  trasportavano tutto fino al Mediterraneo.
Questa posizione privilegiata portò grande ricchezza alla città che la utilizzò per costruire e finanziare scuole ed università  fino a rendere Timbuktu il faro della conoscenza e della civiltà islamica in tutta l’Africa.

Nella macchina che abbiamo preso a Douentza, uno dei passeggeri è Abdul Wahid, il responsabile di una delle famose biblioteche dei manoscritti antichi di Timbuktu.
L’organismo mondiale dell’Unesco ha classificato questi manoscritti come patrimonio dell’Umanità, e l’anno scorso ha mandato un fotografo per repertoriare una parte dei documenti e per organizzarne la protezione, con le famiglie di Timbuktu che li hanno ereditati.
Nella macchina c’era anche un giovane ragazzo imprenditore che scava i pozzi nel deserto. Questo è veramente un buon augurio per il mio arrivo poichè sono venuto qui con l’idea di fare un pozzo per dare l’acqua alla gente del deserto.

SUCCESSIVO: Il flagello di Timbuktù 

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