Il vento del deserto
Nel Sahara il silenzio è una presenza palpabile, il soffio del vento, come il rumore lontano di un veicolo in arrivo, invece di distruggerlo, lo mette in rilievo e ci fa prendere coscienza della sua strana udibilità.
Nel deserto, il vento è il compagno quotidiano del silenzio.
Una città antica, accampata alla soglia del deserto, è spazzata dal vento giorno e notte, avvolta nella polvere rossa delle tempeste di sabbia. E’ Timbuktu, una volta punto di partenza e punto di arrivo per tante carovane di cammelli e per tutte le navi dell’Africa che trasportavano i suoi tesori sul fiume Niger.
Una volta c’era Timbuktu, il suo canale e i suoi giardini
Timbuktu ha per secoli scambiato il suo oro con i libri di scienza, costruendo scuole e ricopiando instancabilmente a mano il sapere che giungeva attraverso il deserto per diffonderlo. Nel profondo buio del medioevo, era un faro luminoso di civiltà che attraeva studenti e sapienti da tutto il mondo islamico.
A Timbuktu rimangono soltanto vecchi manoscritti rinchiusi in bauletti scassati, nascosti nelle case di terra cruda degli eredi dei sapienti morti. Lo splendore di Timbuktu è stato inghiottito dalla sabbia del deserto, città fantasma caduta in disgrazia tale un potente califfo abbatto, detronizzato e ridotto allo stato di mendicante nelle strade della sua propria capitale.
Timbuktu, mitica città del mondo antico, non è più che un villaggio assediata dalle dune del Sahara, eppure questo piccolo villaggio nasconde una grande realtà, seppellita sotto la sabbia dei suoi cimiteri, e nei bauli pieni di manoscritti.
Ho sentito sulla pelle il bruciore del vento del Sahara, camminato sulle dune il viso avvolto nel turbante per non respirare la polvere di sabbia, e ho capito che la forza del vento che aveva distrutto la città poteva farla rinascere.
Il vento che brucia ed essicca tutto quello che tocca può dare moto alle pale di mulini a vento, per tirare da sottoterra l’acqua di nuovi giardini, e per riempire le case e le strade buie di luce elettrica.
Due anni dopo avere risanato il pozzo asciutto dei Tuareg, ho deciso di ritornare a Timbuktu con l’idea di trasformare il vento distruttore del deserto in un vento di misericordia.
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